Interno della sezione DC di via Mottarone (Milano) dopo un attacco brigatista avvento il 1º aprile 1980

“L'album di famiglia” delle Brigate Rosse e del Pci

Massimo Bordin

Lo storico Gotor prova confutare l'affiliazione tra brigatisti e partito. Ma le argomentazioni sono deboli

Miguel Gotor, ieri sul Fatto, è tornato, nell’ambito della pubblicistica per il quarantennale dell’uccisione di Aldo Moro, sul tema del rapporto fra Brigate Rosse e Pci. L’argomento era già stato trattato da Gotor in un suo libro, sia pure di passaggio. Per confutare la filiazione o almeno il legame parentale lo storico citava l’elenco dei libri sequestrati in un covo brigatista. Effettivamente si trattava di titoli molto di sinistra ma estranei alla tradizione del Pci. L’argomentazione, non irresistibile, viene riproposta ieri ma arricchita da una serrata critica al famoso articolo di Rossana Rossanda su “l’album di famiglia”. Ma no, sostiene Gotor, neanche parenti. La prova? Non solo i libri del covo ma il fatto che fra i fondatori il solo Gallinari fosse un giovane comunista che si ispirava a Pietro Secchia e che all’epoca del sequestro Moro le Br erano composte essenzialmente da ex di Potere Operaio, il gruppo più lontano dal Pci. Partiamo da qui. P.O. era, fra i gruppi extraparlamentari, l’unico che avesse come teorico ispiratore uno che dal Pci non è mai uscito, Mario Tronti e solo a Roma la colonna Br era composta principalmente da ex potoppini che nelle altre colonne erano assenti. Viceversa fra i fondatori c’era non solo Gallinari ma tutto un gruppo di giovani emiliani, fra i quali Franceschini, fuoriusciti dal Pci. Nella prima operazione giudiziaria contro le Br nel 1972, moltissimi fra le decine di indagati in Liguria e Piemonte, risultarono iscritti al Pci e in diversi erano della sezione di Occhieppo, in provincia di Biella, paese natale di Secchia. Era quello l’album di famiglia cui si riferiva Rossanda.

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