Chiesti 15 anni per Mori. L'ultimo paradosso nel processo sulla Trattativa

L'ex capo del Ros ed ex direttore del Sisde si rivede di nuovo accusato delle stesse vicende per le quali è stato già assolto. Lo spirito del tempo potrebbe influire su questa sentenza

Massimo Bordin

Le richieste di pena pronunciate oggi nell'aula bunker dell'Ucciardone da parte del procuratore aggiunto Vittorio Teresi, che ha concluso la requistoria della pubblica accusa al processo Trattativa, sono in scala con il tipo di impostazione della requisitoria stessa. Colpisce inevitabilmente il fatto che un pluriassassino capomafia come Leoluca Bagarella sia sanzionato con una pena di un solo anno superiore a quella del generale Mario Mori che arrestò Totò Riina: 16 anni per il primo, 15 anni quelli richiesti per Mori. Ma poi via via in scala per i 10 imputati superstiti di questo processo durato quasi cinque anni.

   

Richieste che in realtà devono sostanziare l'impostazione accusatoria che vuole ribaltare i numerosi processi che sui temi di questa indagine nata diversi anni fa, dalla mente del procuratore aggiunto Ingroia, ha portato a numerosissime assoluzioni degli stessi imputati che ora si rivedono di nuovo accusati delle stesse vicende per le quali sono stati già assolti. Questo è un paradosso di questo processo. Un processo tutto induttivo, tutto politico si potrebbe dire, che dal punto di vista giudiziario poco dovrebbe offrire alla pubblica accusa. Attenzione però a un aspetto: per un escamotage procedurale – che sarebbe troppo complicato riassumere in questa sede – il processo si svolge in corte d'assise pur riferendosi a reati che non sono sottoposti a quel tipo di giudizio. La giuria popolare può essere il rischio che la difesa dovrà cercare in qualche modo di neutralizzare. Lo spirito del tempo potrebbe influire su questa sentenza che dal punto di vista, invece, dei fatti non dovrebbe offrire alcuna soddisfazione alla pubblica accusa.

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