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La mafia ha usato la ‘Ndrangheta come una tecnostruttura?

Massimo Bordin

Seconda puntata del processo “’ndrangheta stragista” che si sta svolgendo a Reggio Calabria

Ieri qui si è scritto del processo “’ndrangheta stragista” che si sta svolgendo a Reggio Calabria. Una sorta di appendice del processo palermitano sulla cosiddetta trattativa. Si è ricordato come a distanza di vent’anni dalla sentenza sugli attentati a militari dell’arma dei carabinieri avvenuti in Calabria fra il 1993 e il 1994, una conferenza stampa degli inquirenti ne aveva cambiato il movente agganciandolo alle stragi di Cosa nostra del 1993. La mafia ha usato la ‘Ndrangheta come una tecnostruttura, disse uno degli inquirenti. In questi giorni, in corte d’assise, uno dei pentiti cui si deve il ribaltamento di movente ha spiegato come la tecnostruttura funzionasse. Consolato Villani, uno dei due esecutori materiali, all’epoca dei fatti minorenne, è partito nel suo racconto da una richiesta di un malavitoso reggino di poco più grande, Giuseppe Calabrò. “C’è da sparare ai carabinieri, te la senti?” “E qual è il problema?” rispose lo scalpitante diciassettenne. Si armarono con un mitragliatore costruito per i film, ma modificato come vera arma da un meccanico di Palmi che aveva l’officina a fianco del commissariato, e con una lupara. Partirono con la macchina di famiglia di Villani. Vagarono nella notte alla ricerca di una gazzella dei carabinieri, percorrendo la periferia di Reggio Calabria, finché la trovarono, le si affiancarono e uno dei due cominciò a sparare. I carabinieri non furono colpiti e da preda divennero inseguitori. Gli assalitori fuggirono a piedi abbandonando l’auto. All’alba la casa di Villani fu perquisita e i suoi genitori, peraltro noti alla polizia, portati in questura. Questo l’esordio della tecnostruttura. Domani una nuova puntata.

 

(2. continua)

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