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Perché si legge così poco sul processo “'Ndrangheta stragista”

Massimo Bordin

Politicamente è molto rilevante, ma la qualità delle deposizioni è molto relativa

Se si ascoltano le udienze del processo denominato “’Ndrangheta stragista” che si sta svolgendo di fronte alla corte d’Assise di Reggio Calabria, viene da chiedersi perché pochissimo se ne legga sulla stampa nazionale. Il processo è una sorta di appendice del grande processo palermitano sulla “trattativa”, praticamente serve a ingrandirne un fotogramma. Il tema riguarda il movente di una serie di agguati, tre, contro militari dell’arma dei carabinieri. Gli attacchi si concentrarono in un periodo relativamente breve, dal dicembre 1993 al febbraio 1994. La tesi accusatoria propone un nuovo movente per il duplice omicidio e i gravi ferimenti causati dalle aggressioni. Sugli esecutori materiali non c’è alcun problema. Giovani malavitosi locali già condannati definitivamente. Solo che alcuni pentiti calabresi, fra i quali i due giovanotti condannati hanno cambiato versione sul movente. Si sarebbe trattato non di un fatto locale ma del contributo della mafia calabrese alle stragi del 1993 volute da Cosa nostra. Per la questione “trattativa” cambia poco, si potrebbe pensare. Potrebbero bastare gli attentati di Milano, Roma, Firenze. Invece le date sono importanti. Arrivare a febbraio 1994 porta la strategia del terrore mafioso, che poi si ferma, alle soglie delle elezioni del 1994. Il lettore avrà già capito dove pensano di arrivare i pm. Processo politicamente assai rilevante, dunque. Forse il silenzio deriva dallo scarto fra l’ambiziosa ipotesi, nascosta nelle pieghe della tesi accusatoria, e la qualità molto relativa delle deposizioni a supporto. Motivo per parlarne dall’anno prossimo. Intanto, auguri.

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