Da sinistra verso destra il sostituto procuratore Francesco Del Bene, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi il pm Roberto Tartaglia e il pm Nino Di Matteo (foto laPresse)

Inizia la fine del processo sulla Trattativa

Massimo Bordin

Nelle prossime udienze non si può negare che il dottore Tartaglia e i suoi tre colleghi dell’accusa si trovino di fronte a un compito immane

E’ iniziata ieri a Palermo la parte finale del grande processo che ha attraversato i primi due decenni del secolo ma affonda le sue radici nell’ultimo del secolo scorso. Chiusa l’istruttoria dibattimentale, da ieri la parola è passata all’accusa che la terrà nelle prossime sei udienze. La requisitoria, insomma, non sarà breve. Se si fanno i conti si arriva giusto al limite dell’apertura della campagna elettorale, ma sono conti che non prevedono slittamenti, piuttosto un ritmo sostenuto, almeno per le abitudini della nostra giustizia. Intanto l’inizio della requisitoria, affidato al pubblico ministero Roberto Tartaglia, ha precisato l’oggetto del processo, al di là del capo di imputazione: non tanto la trattativa ma un suo passaggio fondamentale, la mediazione, che ha prodotto, ha sostenuto il dottore Tartaglia, risultati devastanti attraverso la realizzazione dei desideri più antichi e reconditi di Cosa nostra, avere a che fare non più con la repressione ma con la mediazione. Nelle prossime udienze non si può negare che il dottore Tartaglia e i suoi tre colleghi dell’accusa si trovino di fronte a un compito immane: dimostrare che la mediazione, agognata fin dalle sue origini da Cosa nostra, consistesse nell’arresto di tutti i suoi capi e la loro condanna a vari ergastoli con la certezza di morire detenuti, come ai più anziani è effettivamente capitato. Perché è questo che è successo e può essere dubbio che i mafiosi lo desiderassero.

Di più su questi argomenti: