Giovanni Legnini alla festa del Foglio (foto LaPresse)

Due strane interpretazioni delle parole di Legnini alla festa del Foglio

Massimo Bordin

Se il vice presidente del CSM definisce un magistrato come Davigo “un capo corrente”, ha una logica definire l’uso di questa espressione come una minaccia?

Le parole costruiscono ragionamenti che possono essere giudicati per la loro congruità appunto sulla base dell’uso delle parole. Se, per esempio, il vice presidente del CSM definisce un magistrato come Piercamillo Davigo “un capo corrente”, ha una logica definire l’uso di questa espressione come una minaccia? Effettivamente Davigo ha fondato una nuova corrente, “Autonomia e indipendenza”, all’interno della magistratura associata e anche sulla base di questo suo ruolo ha presieduto per un periodo la Anm. La definizione dunque appare assolutamente descrittiva e non si vede in che termini possa costituire una minaccia, eppure questo termine si ritrovava ieri in un titolo del Fatto quotidiano a proposito delle parole pronunciate da Giovanni Legnini alla festa fiorentina del Foglio. Sempre sulle cose dette da Legnini in quella sede, è poi intervenuta la presidente della commissione giustizia della Camera, Donatella Ferranti del Pd, magistrato arrivato alla camera nel 2008 dalla segreteria generale del Csm. Il tema su cui si è applicata la on. Ferranti, a proposito delle parole pronunciate da Legnini, è stato quello dei limiti da porre al passaggio di ruoli fra magistratura e parlamento e viceversa. “Quella di Legnini è una posizione sicuramente rispettabile e legittima”, ha premesso, per poi argomentare su quanto la posizione di Legnini le fosse parsa “una perdita per la democrazia oltre che una violazione della carta costituzionale”. Resta da chiedersi quale concetto abbia della rispettabilità l’on. Ferranti. E della logica.