Cesare Battisti (foto LaPresse)

L'omicida Battisti e le domande da porci sulla giustizia italiana

Massimo Bordin

Il Brasile non ha, nel suo codice, una pena come l'ergastolo. Ed è lungo l'elenco di paesi che rifiutano di concedere estradizioni basate sui reati associativi

Poche considerazioni su una vicenda sgradevole quanto il suo protagonista. Cesare Battisti non incarna nemmeno il sogno folle e sanguinoso dei gruppi italiani della lotta armata clandestina, ne è un cascame, un simbolo storto e per qualche verso abusivo. Non c’entra nulla con personaggi come il contadino comunista emiliano Prospero Gallinari, imbevuto di una tradizione feroce ma politicamente classificabile. Non c’entra nulla con gli spietati killer della Volante Rossa milanese, variante metropolitana della stessa tradizione. I suoi delitti evocano invece, a volerli leggere politicamente, la “bande á Bonnot” senza neppure l’aura dell’anarchia e con molto di malavitoso.

 

Eppure la faccenda della sua finora mancata estradizione offre la possibilità di riflettere sulla giustizia italiana e le sue leggi penali. Quelle antiche e sempre più consolidate come l’ergastolo. Curioso che nessun giurista abbia sottolineato come il Brasile non abbia nel suo codice una pena del genere, pur avendo indiscutibilmente seri problemi di criminalità. Quanto poi alle leggi emergenziali vorrà pure dire qualcosa che non solo il Brasile ma anche paesi come la Svizzera, la Germania, la Gran Bretagna, l’Argentina, il Giappone, minuziosamente elencati in un post da Franco Piperno, che suo malgrado è diventato un cultore della materia, hanno rifiutato estradizioni basate sui reati associativi. Ci sarebbe da aggiungere che alcune corti straniere rifiutano l’estradizione anche per alcuni reati di associazione mafiosa del nostro codice. Con l’omicida Battisti c’entra relativamente ma anche il suo caso estremo può aiutare a pensarci.

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