(foto LaPresse)

Il generoso disastro politico di Che Guevara

Massimo Bordin

Il suo lascito teorico sta nelle poche pagine della lettera di commiato da Fidel. Datate, serie ma disastrose negli esiti e negli effetti, che ancora durano

“Crear dos, tres, muchos Vietnam” slogan che ebbe fortuna e fu scandito a Berkeley come a Berlino, a Roma come a Parigi, è l’unico lascito serio di Ernesto ‘Che’ Guevara. Datato, certo, e assai discutibile, considerati gli esiti, ma non banale. Era lo slogan conclusivo della lettera a Fidel con cui aveva annunciato la scelta di lasciare Cuba per aprire un “foco guerrillero” in Bolivia. La lettera era intitolata “Da un altro Vietnam” e fu pubblicata in italiano come supplemento a una rivista mensile, “La sinistra”, diretta da Lucio Colletti e redatta da alcuni giovani trotzkisti, alcuni espulsi dal Pci, altri che lo sarebbero stati di lì a poco.

 

L’opuscolo uscì nell’aprile 1967, quando Guevara era già in Bolivia. Lo comprai all’edicola di piazza S. Emerenziana, una zona di Roma non precisamente di sinistra. Mi colpì un ragionamento elementare: si parla tanto di coesistenza pacifica ma la guerra si è semplicemente spostata dall’Europa nelle periferie del mondo. Guevara decise di andare a combatterla. A ottobre era già stato ucciso. Il suo fu un generoso disastro politico, ma quel documento resta importante per spiegare quello che successe dopo in Europa. La sua mitizzazione, “El guerrillero eroico” celebrato a Cuba e le magliette con la famosa foto di Korda vennero dopo. Prima ci fu una celebrazione del personaggio paragonato ai grandi del marxismo. La Feltrinelli pubblicò perfino i suoi scritti economici, ma Guevara non era Bukharin anche se fu ministro dell’Economia a Cuba. Il suo lascito teorico sta nelle poche pagine di quella lettera di commiato da Fidel. Datate, serie ma disastrose negli esiti e negli effetti, che ancora durano.

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