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L'omicidio Regeni e la pista inglese. Cosa c'è da sapere

Massimo Bordin

Quelli di Tricarico sono pareri pesanti, ma la fotografia del rapporto fra università e intelligence nel mondo anglosassone è veritiera

Esiste una “pista inglese” per l’uccisione di Giulio Regeni? Ieri qui si citava una intervista al generale Leonardo Tricarico che puntava il dito sull’università di Cambridge che aveva commissionato l’analisi sul campo al giovane ricercatore. Un incarico “opaco” a giudizio del generale, rifiutato da un altro studioso dopo la tragica morte di Regeni. L’opacità deriva, sempre secondo Tricarico, dalla commistione fra l’intelligence inglese e le migliori università del Regno Unito. Analoghe considerazioni aveva fatto un altro generale, Mario Mori, ex capo del Sisde. Tricarico è stato capo di stato maggiore dell’Aeronautica e consigliere militare di tre presidenti del Consiglio. I loro sono pareri pesanti e la fotografia del rapporto fra università e intelligence nel mondo anglosassone è veritiera. Questo non vuol dire naturalmente che Regeni fosse un agente segreto, ma è ben possibile che la professoressa che gli ha affidato la ricerca l’avesse fatto su incarico del MI6. Può scandalizzare, ma in Inghilterra è legale. Del resto nei servizi segreti inglesi hanno lavorato persone come Graham Greene e Ian Fleming. Nei nostri si reclutavano intellettuali come “l’agente Z” Guido Giannettini. Occorre pensarci prima di scandalizzarsi. Alberto Negri ha scritto qualche giorno fa sul Sole 24 Ore che Regeni “lavorava per istituzioni britanniche”, al plurale, e senza dubbio il servizio segreto di Sua Maestà è una istituzione quanto l’antica università di Cambridge. Negri però non pare voler dire che Regeni sapesse del suo vero committente, piuttosto che i servizi inglesi sapessero di lui, e introduce una espressione cinematografica per spiegare il delitto: “I soliti sospetti”. Se ne riparla lunedì.

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