Nino Di Matteo (foto LaPresse)

L'astuta “audizione riparatrice” di Di Matteo

Massimo Bordin

Il magistrato chiede di essere ascoltato dall'Antimafia. In questo modo sceglie la commissione come sede pubblica e parallela per la costruzione delle “ulteriori indagini” su via D'Amelio 

Non è priva di astuzia la richiesta di audizione davanti alla commissione antimafia avanzata ieri dal pm Antonino Di Matteo e subito rilanciata dalle agenzie di stampa. Di Matteo intende rendere dichiarazioni che ritiene “possano finalmente contribuire a ristabilire la verità dei fatti e porre fine a strumentalizzazioni dannose per l’efficacia degli accertamenti e per il possibile sviluppo di ulteriori indagini sulla strage”. Il riferimento, quando il pm scrive di “notizie stampa sulle audizioni in commissione sui processi celebrati sulla strage di via D’Amelio”, è evidentemente alle parole pronunciate da Fiammetta Borsellino sui magistrati che non seppero sventare il rozzo depistaggio messo in atto con il falso pentito Scarantino. Fra essi la figlia del giudice ucciso ha citato anche Di Matteo. Da qui la necessità di una “audizione riparatrice” per i danni creati all’indagine ancor più che la richiesta di una sorta di diritto di replica. Il dottore Di Matteo si ritiene turbato, non gli si può dare torto, dalle parole della figlia del giudice Borsellino e il suo turbamento danneggia “il possibile sviluppo” di “ulteriori indagini” altrettanto possibili. Fin qui non c’è astuzia ma solo un alto concetto del proprio operato, passato e futuro. L’astuzia, nella irrituale richiesta, sta nello scegliere di fatto la commissione antimafia come sede pubblica e parallela per la costruzione delle “ulteriori indagini”. È lo stesso schema, mediaticamente efficace, seguito per l’indagine sulla cosiddetta trattativa. Difficile che la presidente Bindi, che al momento non risulta ricandidabile nel suo partito, si lasci sfuggire l’occasione.