Totò Riina depone al processo di mafia sui delitti politici (foto LaPresse)

Il dibattito da stadio sulla scarcerazione di Totò Riina

Massimo Bordin

Praticamente nessun titolo o sommario ha aiutato il lettore a capire cosa diceva la sentenza, anzi lo ha portato decisamente fuori strada

Si era cercato di mettere in guardia da un rischio che si sarebbe potuto profilare nell’interpretazione della sentenza della cassazione su Totò Riina. Puntualmente la realtà ha superato in peggio le aspettative più pessimistiche. Praticamente nessun titolo o sommario aiutava il lettore a capire cosa diceva la sentenza, anzi lo portava decisamente fuori strada. Non si possono accampare scuse. La sentenza era disponibile con largo anticipo sui tempi di chiusura dei giornali e, per una volta, la sua mole era tutt’altro che gigantesca. Otto pagine. Scritte nell’italiano lunare che si usa nelle faccende di giustizia, ma pur sempre otto pagine. Le linee del ragionamento dei giudici erano comprensibili nella loro linearità, meno relativa del solito. La forzatura operata non è stata dovuta a faziosa malafede, presente se mai in qualche dichiarazione, ma a una scelta editoriale, quella di una semplificazione così estremizzata da inquinare la fonte della notizia. Il risultato da raggiungere non aveva probabilmente finalizzazioni politiche ma è stato quasi certamente frutto di sciatto utilitarismo. Piuttosto che esporre un problema tecnico procedurale in modo comprensibile si è preferito aizzare un dibattito para filosofico affrontato con argomentazioni da curva calcistica. Il vantaggio, diciamo così, che se ne è ricavato sta nel fatto che la coda della polemica potrà essere ancora sfruttata per nuovi e più ponderati commenti. Il rischio di domani, per esempio, può concretizzarsi in un intervento di Michela Marzano.

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