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D'Alema alla Marcia della pace, tra contestazioni e auto sarcasmo

Massimo Bordin

Un amaro esempio dei rapporti fra un leader della sinistra e il “popolo della pace” 

“Caro, il corteo è molto grande, come faccio a trovarti?” “Guarda, è molto semplice, diciamo. Sono nel settore dove tutti urlano ‘Buffone! Buffone!!’. Ecco, io sono lì”. Per una volta non si tratta di una intercettazione ma del resoconto di un cronista che seguiva la marcia Perugia-Assisi accanto a Massimo D’Alema e colse nel dialogo fra lui e sua moglie un fantastico esempio, più che di autoironia, di auto sarcasmo. Un amaro esempio dei rapporti fra un leader della sinistra e il “popolo della pace”. D’Alema, insultato da giovani che inalberavano la bandiera arcobaleno come a suo tempo altri avevano inalberato la colomba di Picasso, aveva ragione. Fu trattato da servo di Kossiga, Clinton e il particolarmente inviso al sufi Battiato, Tony Blair, ma aveva ragione. Non c’era altro mezzo per bloccare la pulizia etnica di Milosevic e dei suoi sgherri. Ricordo una puntata di un programma Mediaset fatto da Santoro da un ponte di Belgrado con comparse in divisa, mentre la Rai non era da meno con retoriche citazioni non dell’articolo 1 della Costituzione ma della prima parte dell’articolo 11. Ma ricordo anche Antonio Russo in un sottoscala di Pristina, salvato grazie all’allora sottosegretario Marco Minniti. Per tutto questo non riesco a spiegarmi come D’Alema pensi di poter essere parte di una forza a sinistra del Pd, cosa che potrebbe in sé avere un senso, insieme a quelli che allora lo insultavano e tuttora lo ritengono un guerrafondaio.

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