Da un secolo non siamo riusciti a correggere gli errori del sistema giudiziario

Massimo Bordin

Cosa insegna oggi il primo maxi processo contro la camorra, che si svolse alla fine del primo decennio del novecento

Molto interessante l’inserto di 80 pagine abbinato ieri a “Il Mattino”. Vi si celebra il centoventicinquesimo anniversario del primo numero del quotidiano, uscito il 16 marzo del 1892. Belle foto di prime pagine d’epoca e ricostruzioni di eventi passati. Significativo in particolare il testo scritto da Isaia Sales sul processo Cuocolo, il primo maxi processo contro la camorra, che si svolse alla fine del primo decennio del novecento con grande interesse di pubblico. Sul banco degli imputati lo stato maggiore della camorra a cominciare dal “capintesta” di allora, tale “Erricone” Alfano. Tutti accusati a vario titolo dell’uccisione di Gennaro Cuocolo e sua moglie, una coppia di dubbia reputazione. Oggi gli storici che si sono occupati della faccenda concordano sul fatto che gli imputati fossero veri camorristi ma le prove, invece, palesemente false. Per spiegare il senso dell’operazione giudiziaria, il professore Barbagallo, in un suo libro, ha pubblicato la lettera che un giurato popolare, un professore di tedesco, inviò a un giudice di cassazione. C’è scritto: “Nel processo si è fatta confusione di concetti morali e giuridici. La tesi del risanamento dei costumi napoletani e la tesi giuridica dell’accertamento dei responsabili dello speciale delitto sono due cose essenzialmente diverse… Tutti vollero gli imputati condannati in nome della rigenerazione morale di Napoli”. Sales ha fatto benissimo a concludere la sua ricostruzione citando questa lettera che evidenzia un metodo giudiziario che in un secolo non abbiamo saputo correggere. Né ci riuscirà la riforma della giustizia votata ieri in Parlamento.

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