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Non basterà vincere le primarie del Pd

Massimo Bordin

La questione dell’abbinamento fra segretario e candidato presidente del Consiglio non è un dettaglio statutario ma l’architrave su cui si è voluta fondare l’identità del nuovo partito nel momento della sua costituzione

Le primarie per la segreteria del Pd, depurate da tutte le scorie del circo mediatico-giudiziario, possono essere significative per la stessa sopravvivenza del partito. C’è un punto nei programmi dei tre candidati che lo mostra chiaramente. La questione dell’abbinamento fra segretario e candidato presidente del Consiglio non è un dettaglio statutario ma l’architrave su cui si è voluta fondare l’identità del nuovo partito nel momento della sua costituzione. Si può considerare questa scelta un maldestro scimmiottamento del modello americano ma non se ne può negare il carattere fondativo e peculiare. Il fatto è che due dei tre candidati lo negano. Andrea Orlando e Michele Emiliano, distanti fra loro anni luce, su questo sono perfettamente d’accordo e dunque, da questo punto di vista, l’unico a restare nel solco della tradizione, pur breve e tormentata, del Pd resta Matteo Renzi che non a caso apre la sua campagna al Lingotto, dove il partito fu fondato. A Renzi però non basterà semplicemente vincere. Già l’eventualità, improbabile ma non impossibile, del mancato raggiungimento del quorum del 50 per cento alle primarie potrebbe rivelarsi esiziale non solo per il segretario uscente ma per lo stesso partito perché vorrebbe dire che più della metà del suo elettorato non crede più al principio cardine sul quale il Pd si è fondato. O forse, se si ripensa a chi parlava di “amalgama non riuscito”, non ci ha mai creduto.

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