Luigi Di Maio ospite a "L'aria che tira" (foto LaPresse)

Perché non possiamo chiamare populisti i grillini

Massimo Bordin

I cinque stelle combattono il regime perché ne vogliono un altro

Populisti, li chiamano. Ma chi lo fa sbaglia. La ribellione dei contadini meridionali che occupavano il comune per bruciare i certificati di proprietà delle terre e le cartelle esattoriali, procurandosi un effimero ma indubbio vantaggio materiale, non li riguarda. La loro rivolta non è quella di Jacques Bonhomme. E nemmeno quella, più moderna e interclassista, di monsieur Poujade. I cinque stelle combattono il regime perché ne vogliono un altro, sicuramente peggiore. Bastava vedere ieri mattina il loro premier in pectore Di Maio quando esigeva in televisione le scuse del presidente dell'ordine dei giornalisti per gli attacchi dei giornali alla sindaca Raggi. Lasciamo perdere la ridicolaggine di argomentazioni come "si vogliono insinuare divisioni fra noi inesistenti" quando è stata la gioviale senatrice Taverna a proporre di appendere per le orecchie la sindaca al filo dei panni stesi, per farla rinsavire. Il problema vero è che questo Starace in sessantaquattresimo pensa sul serio che "l'Ordine" dei giornalisti debba essere responsabile di quello che scrivono i giornali. Non un controllo deontologico, che peraltro purtroppo non c'è, ma un Minculpop ideologico. "Come si permettono di insistere sulla Raggi? Intervenga il loro capo" che sarebbe il presidente dell'Ordine. Dicono così stando ancora all'opposizione, figuriamoci se fossero al governo. Altro discorso è la minaccia di querele su singoli articoli. È un loro diritto, procedano pure. Ma hanno già vinto quando si sentono giornalisti spiegare come sia sbagliato parlare delle famose polizze perché non sono reato. Sarà inutile in tribunale, forse, ma i giornalisti che parlano così hanno introiettato la mentalità dei PM e di chi vuole ridurre i giornali a gazzette delle procure.