Il manifesto di Di Matteo a Castelvetrano

Massimo Bordin

Un giornalista palermitano, Davide Camarrone, parla su Facebook di una vicenda paradossale consentendo, a chi l’aveva notata, di capirla meglio. E’ una storia, molto siciliana e molto istruttiva, che si svolge a Castelvetrano, grosso centro del trapanese ma soprattutto città natale di Matteo Messina Denaro. Una settimana fa arriva la polizia alla sede del comune per una faccenda relativa a appalti truccati per favorire la mafia locale. Due giorni dopo compare sul balcone del palazzo comunale un gigantesco manifesto a colori con l’immagine togata del dottore Antonino Di Matteo e la scritta “La città di Castelvetrano sostiene (tutto maiuscolo) il giudice Nino Di Matteo”.

 



 

Camarrone aggiunge che una successiva operazione, sempre da quelle parti, ha portato ad arresti, sequestri di aziende e anche a una imputazione per fittizia intestazione di beni a carico di un giornalista “antimafia” locale che sul suo profilo Facebook si fregia di una foto dell’onnipresente dottore Di Matteo. “Piantatela di usare la sua faccia!” è, a questo punto, l’accorato appello di Camarrone. Giusto. A patto però di porsi qualche domanda a proposito di certi fenomeni e del loro significato non necessariamente banale nella sua evidente strumentalità. Inevitabile pensare ai professionisti dell’antimafia e ai rischi descritti da Leonardo Sciascia. Ma anche alle recentissime parole del ministro di Giustizia Andrea Orlando sugli equivoci e gli errori del giustizialismo declamato in politica.

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