Un incendio in una città d'Israele (foto LaPresse)

Una nuova polemica sugli incendi in Israele

Massimo Bordin

La vicenda degli incendi, divampati in Israele nell’ultima decade di novembre, ha naturalmente causato, in una situazione già normalmente tesa, forti polemiche. Il governo ha parlato di atti di terrorismo, la stampa progressista ha sposato la tesi della casualità piuttosto che del dolo. Non sono mancati fondamentalisti islamici pronti a esaltare il fuoco purificatore contro l’aborrito sionismo ma, per fortuna di tutti, dopo alcuni giorni drammatici le fiamme hanno perso intensità, pur lasciando migliaia di sfollati e qualche arrestato per incendio colposo o doloso. A domare le fiamme hanno vistosamente contribuito anche i pompieri palestinesi che dalla west bank si sono spinti fino a Gerusalemme, mandati dall’Anp. Un bel gesto. Ieri però Fiamma Nirenstein raccontava di una polemica che comincia ad accennarsi in Israele a proposito di qualche arabo fra gli arrestati. Si teme che, secondo una prassi consolidata, l’Autorità palestinese li consideri combattenti e versi indennizzi alle loro famiglie. Naturalmente è auspicabile che non succeda. Oltretutto mostrerebbe l’assurdità di impegnare uomini e mezzi a spegnere il fuoco per poi ricompensare l’incendiario. Una follia. Però, a ben pensarci, se succedesse sarebbe una perfetta metafora della politica mediorientale.

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