La tendenza a perdonare gli insuccessi del M5s pur di valorizzarne la "diversità"

Massimo Bordin
E’ molto probabile che l’ufficializzazione, avvenuta ieri, dell’uscita dal M5s del sindaco di Parma Federico Pizzarotti non produrrà defezioni significative dal movimento di Beppe Grillo.

E’ molto probabile che l’ufficializzazione, avvenuta ieri, dell’uscita dal M5s del sindaco di Parma Federico Pizzarotti non produrrà defezioni significative dal movimento di Beppe Grillo. Per quanto simbolica sia stata la prima vittoria significativa del movimento, i militanti e i sostenitori più attivi avevano già da tempo metabolizzato la separazione. L’uscita di Pizzarotti può interessare il micro movimento di Pippo Civati e qualche altra frangia di pari o addirittura minore rilevanza. Al massimo, in parole povere, ci sarà un po’ di movimento nelle ultime file del ceto politico. Non c’è motivo apparente per prevedere contraccolpi elettorali significativi.

 

La tendenza nei sondaggi, oltre che nei risultati veri, sembra essere quella di un blocco di elettorato fra il 20 e il 25 per cento che perdona al M5s anche il più evidente degli insuccessi pur di valorizzarne la “diversità”. Questo blocco ha una compattezza e una impermeabilità che lo rendono il punto di forza decisivo di qualsiasi schieramento che gli si aggreghi intorno. Se una tendenza del genere dovesse reggere fino al referendum è evidente che in caso di vittoria del No, a metterci sopra il cappello non potrebbe che essere la Casaleggio e associati, con Grillo e Travaglio come alfieri. Grosso modo questo discorso ha fatto ieri il ministro Andrea Orlando a quella parte della sinistra pronta a votare No in dispetto a Renzi. Ma ovviamente vale anche per la destra moderata.

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