Il reato di "depistaggio" e la libertà di stampa

Massimo Bordin

L’onorevole Paolo Bolognesi, a lungo rappresentante del comitato dei familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna e attualmente deputato del Pd, sa benissimo che l’appena varato nuovo reato di “depistaggio” non lascia spazio, nella sua formulazione finale, a una interpretazione estensiva tale da poter condizionare la libertà della cronaca giudiziaria e della critica all’operato della magistratura inquirente. E’ evidente che questa era l’intenzione di Bolognesi e altri nella prima stesura della legge che però esce dal Parlamento con un testo che non dovrebbe consentire interpretazioni del genere.

 

Sarà comunque bene che qualcuno del suo partito glielo ricordi, visto il modo con cui ha brandito minacciosamente la legge appena varata contro Rosario Priore e Valerio Cutonilli autori di un libro, per la verità assai accurato, in cui si propone una pista araba per la strage del 2 agosto, in difformità dalla sentenza definitiva che la attribuisce al terrorismo di destra. Naturalmente si può criticare il libro per le sue tesi ma è inammissibile che un deputato invochi sanzioni penali per i suoi autori, rei di indicare i limiti di una indagine e i suoi possibili errori. Tanto più quando, con una strana schizofrenia, altri libri che si avventurano in riletture ben più azzardate di indagini passate in giudicato, come il delitto Moro, ottengono viceversa il plauso dell’on. Bolognesi e di alcuni suoi compagni di partito, oltre a immediate verifiche della polizia scientifica. Ne risulta l’impressione di una censura preventiva di tipo ideologico verso la ricerca e la cronaca. Una impressione sgradevole.  

 

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