Con Davigo niente "Mani Pulite" bis, ma riforme condivise

Massimo Bordin
“Torna Mani Pulite” era ieri la trionfale apertura del Fatto quotidiano. Lasciamo perdere l’obiezione che per tornare occorre prima essersi eclissati e nel caso specifico non risulta.

“Torna Mani Pulite” era ieri la trionfale apertura del Fatto quotidiano. Lasciamo perdere l’obiezione che per tornare occorre prima essersi eclissati e nel caso specifico non risulta. Concentriamoci sul triplice indizio che viene iconizzato sotto il titolo di prima pagina nelle foto dei pubblici ministeri Piercamillo Davigo, Paolo Ielo e Francesco Greco. Quest’ultimo è in lizza per il posto di procuratore capo a Milano dove ha iniziato proprio con Mani Pulite una carriera sicuramente brillante. La sua nomina però è meno sicura dopo la comparsa di un competitore adeguato. Quanto a Paolo Ielo è vero che a Roma, nel riassetto degli incarichi deciso dal procuratore Giuseppe Pignatone per i suoi aggiunti si è visto assegnare il settore più delicato per i rapporti fra politica e giustizia, ma in fondo la delega non fa che ufficializzare una realtà di fatto. Resta Piercamillo Davigo, sulla cui elezione a presidente dell’Anm il Fatto ha tutti i motivi per cantare vittoria, anche perché è raro che una sponsorizzazione di Travaglio giovi al prescelto. Ma qui c’è l’aspetto più intrigante, che forse merita di essere seguito. Per un nuovo patto fra politica e giustizia, attraverso riforme condivise, chi meglio di Davigo? Sarebbe inattaccabile proprio dai settori oltranzisti della magistratura. Lo schema è noto, ad aprire ai cinesi fu Nixon, mica un democratico. Questo stanno cominciando a pensare anche alcuni autorevoli magistrati di sinistra. Non so se sia una buona idea ma certo non combacia con la prima pagina del Fatto di ieri.