Foto Domas Mituzas via Flickr

La copertina di Time "oltre lei e lui" e il senso dei millennial per il sesso

Antonio Gurrado

Il settimanale racconta in un lungo reportage come i ragazzi ridefiniscono il proprio genere. Ma se ognuno può scegliere a che genere appartenere, la realtà non esiste

E voi, cosa siete? C’è ad esempio un giovane che si definisce “transessuale bianco, fisicamente abile, queer non-binario”: e Katy Steinmetz, firma di Time, ricopia zelantemente la verbosa definizione nel lungo articolo di copertina del magazine (foto sotto). L’intero reportage tenta di esplorare, per mezzo di testimonianze dirette e ricostruzioni congetturali, la vasta gamma di combinazioni che consente ai millennial di moltiplicare i generi cui sentono di appartenere fino a un novero iperbolico, che sorpassi perfino le sessanta sessualità alternative disponibili ai nuovi utenti che s’iscrivano a Facebook. Non so però se quest'articolo faccia veramente gioco alla causa. Ne emerge infatti con chiarezza che la questione ormai si è spostata dal piano etico (se sia giusto o sbagliato comportarsi così) addirittura al piano ontologico, divenendo un acceso dibattito sul caso se ciò che uno sente di essere corrisponda o meno alla realtà di ciò che oggettivamente è. Di fatto, è come dibattere se una persona persuasa di essere Napoleone sia in effetti Napoleone oppure sia un matto.

 

L’articolista definisce questi ragazzi “hyperindividual, you-do-you”, cogliendone un aspetto fondamentale. Il comun denominatore delle loro singole storie non è tanto la non appartenenza a uno dei generi prefissati, vulgo maschio e femmina, ma la ferma convinzione che sia la loro interiorità a plasmare l’esteriorità o, meglio, che il solo modo di conoscere una verità oggettiva riguardo a sé sia la propria stessa sensibilità. Questo crea un paio di problemi. Anzitutto è causa del fatto che ciascuno reputi legge universale ciò che prova individualmente, incorrendo così in talune incongruenze: nell’articolo compare un giovane che pretende di non venire chiamato né col pronome “lui” né col pronome “lei” e si sente a proprio agio solo quando gli danno del “loro”; ma compare anche uno che, per la propria sessualità incerta, è stato definito “esso” e se ne è offeso, preferendo venire identificato col “lui” o col “lei” a seconda. Chi dei due ha torto?

 

In secondo luogo tale sensibilità individuale viene identificata con l’emotività, tralasciando il discernimento che è la capacità di chi è sensibile di trovare una mediazione fra sentimenti e circostanze. Ciò vincola l’oggettività alle emozioni: “Mi piace essere neutro”, spiega un giovane, sancendo di conseguenza di essere neutro; scelta ammirevole in quanto sarebbe molto vantaggioso, ammetto, che per diventare ricco bastasse l’evenienza che mi piaccia essere ricco. Senza considerare che le emozioni sono per definizione passeggere, come nel caso del giovane che dichiara: “Alcuni giorni sento che il mio genere possa coincidere con quello assegnatomi alla nascita, altri giorni no”. Anche in questo caso ammetto che sarebbe una soluzione geniale sentirmi ricco (e quindi esserlo) alcuni giorni all’anno ma non in quelli in cui devo pagare le tasse, abbattendo l’aliquota.

 

Questa generazione di giovani superindividuali e autopoietici, strilla Time in copertina, sta ridefinendo il senso del genere. Anche qui bisogna mettersi d’accordo: non su cosa sia il genere, ma su cosa si intenda per “senso”. L’articolo non lo dichiara ma illustra trattarsi di episodi di solipsismo; per quanto diffusi, non sono sufficienti a creare una categoria o peggio ancora una comunità di solipsisti. Si tratta piuttosto di una ridefinizione del senso di oggettività: dall’autorevole studioso al mite compagno di studi, nel parlare della fluidità di genere invale la placida accettazione del fatto che la realtà sia ciò che ciascuno si figura allo scopo di sentirsi bene. “I vostri termini non riflettono la mia realtà”; “Per me va bene essere me, qualsiasi cosa sia”; “Un determinato genere risulta sensato nelle loro teste, quindi va bene”. I millennial sono insomma una generazione che si sottostima: troppo ossessionata dal sesso per accorgersi di essere la generazione che sta dimostrando che solo la soggettività è oggettiva; e che, a ben guardare, l’unico matto era Napoleone.

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