Umberto Bossi (Ansa) 

barbari foglianti

Quella volta che Bossi mise nel sacco il Divo Giulio

Roberto Maroni

Ai tempi era Roma Ladrona, ma con il senno di poi c’erano politici in gamba. Il racconto di un incontro nello studio di Andreotti, da tirare fuori ora in tempi di corse al Quirinale

Non sono certo un nostalgico della Prima Repubblica, che anzi con Umberto Bossi ho combattuto e sconfitto. Ma non era il peggio, di questo poi mi sono reso conto. E c’erano politici in gamba che stavano in quella che (allora) era Roma Ladrona. Tra questi Giulio Andreotti. Era nato il 14 gennaio: per questo vi voglio raccontare la prima volta che lo incontrai a Roma, nel suo studio in San Lorenzo in Lucina. E’ fine dicembre del 1991, mi chiama Bossi che mi dice di andare a casa sua. Arrivo da lui, ed ecco la sorpresa: “Vieni con me a Roma, devo incontrare Andreotti”. “Ohibò – tento di obiettare – che ci vengo a fare io che non sono neanche deputato? Portati l’onorevole Leoni”. Basta un cenno e mi rendo conto che non si può. Poi capirò il motivo. Arriviamo a Roma. Lo studio di Andreotti non è niente di che, molto sobrio. “Vedi, caro Giulio, tu sei il capo del governo, ma la Lega ti vuole al Quirinale”, attacca Bossi. “Ma se avete solo due voti”, replica Andreotti. “Adesso sì, ma vedrai alle elezioni di primavera, ne avremo almeno 80”, dice Bossi. E poi si gira verso di me: “E lui sarà il mio vice”. Io guardo il volto imperscrutabile di Andreotti e rimango stupito quando lui si alza e porge la mano a Bossi dicendo: “Va bene”. Usciamo dallo studio e Bossi mi fa l’occhiolino. Allora capisco tutto: è una trappola, e l’ego smisurato del Divo Giulio ci è cascato. Infatti al Quirinale poi ci va Scalfaro. Ma il risultato storico che ottenne Bossi fu la fine della Prima Repubblica. Stay tuned.

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