"La morte di Cesare" di Vincenzo Camuccini (Napoli, Museo di Capodimonte)

Historia magistra vitae

Roberto Maroni

L'ascesa di Giulio Cesare, la sua fine il 15 marzo, tradito da una congiura di palazzo, e la certezza che gli errori fatali non saranno ripetuti 

Ieri è stato un giorno speciale per me. Ho spento un’altra candelina, tra gli abbracci di tanti amici affettuosi. Ma il 15 marzo me lo segno anche per altro: ieri, 2000 anni prima del mio inizio, fu la fine di Giulio Cesare, tradito da una congiura di palazzo. Cesare era il padrone di Roma, il Pater Patriae, sapeva conquistare le prime pagine (di pietra) dei mezzi di comunicazione dell’epoca con proclami celoduristi tipo alea iacta est. Lanciò la sfida all’Europa e se la prese con i (barbari) francesi, i galli. Li sconfisse e li sottomise. Non solo, si attrezzò per presidiare le coste dell’Africa: evidentemente quello della possibile invasione di clandestini armati dai paesi del continente africano era un’emergenza già allora. Diede vita al Triumvirato, un accordo per la gestione del potere con altri due, Gneo Pompeo e Marco Licinio Crasso. Quel “contratto di governo” segnò l’inizio della sua ascesa. Il suo modo di fare piaceva molto al popolo, almeno all'inizio. Ma il suo successo non durò a lungo: presto provocò la reazione degli alleati, che si sentivano messi ai margini della scena politica. L’ascesa di Cesare finì quando un gruppo di complottisti pose fine drammaticamente alla storia, alle Idi di Marzo di duemila anni fa. Strane suggestioni con la Roma di oggi, qualcuno potrebbe azzardare. Beh, qualcosa di simile, meno cruento, è già accaduto a Matteo Renzi. Proprio per questo possiamo stare sicuri: Historia magistra vitae, gli errori fatali non saranno ripetuti. Stay tuned.

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