Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Dignità va cercando

Roberto Maroni

Da ex ministro del Lavoro mi aspettavo più coraggio e meno ideologia dal decreto di Di Maio

Il governo ha finalmente partorito il promesso “decreto dignità”, con grande soddisfazione di Di Maio. A ben guardare, il tanto atteso decreto sul lavoro contiene poche misure ad alto impatto occupazionale, concentrandosi principalmente su quelle a costo zero: stretta sui contratti a termine e multe a chi delocalizza. Devo dire la verità: da ex ministro del Lavoro mi aspettavo più coraggio e meno ideologia. Le norme sui contratti a termine piacciono alla Cgil ma non vanno bene: rischiano di causare la perdita di posti di lavoro regolari. Combattere la precarietà è giusto, ma bisogna colpire il lavoro nero, non le forme contrattuali regolari che garantiscono l’applicazione delle tutele fondamentali del lavoratore. Il decreto ha già scatenato un coro di critiche da parte del mondo produttivo, preoccupato dal rischio che la reintroduzione di vincoli per i contratti regolari prevista dalle nuove norme porti come conseguenza una ripresa del contenzioso davanti ai tribunali e quindi si trasformi in più costi e più incertezza per le imprese. Che fare? L’assenza di Salvini al consiglio dei ministri che ha approvato il decreto mi induce a sperare che in sede di conversione il parlamento sappia correggere le sbandate pentastellate. Ad esempio reintroducendo – almeno in agricoltura – i voucher, quel prezioso strumento regolatorio creato da Marco Biagi (e cancellato da Renzi) che abbinava la flessibilità alle necessarie tutele. Forza Lega, ascolta la voce di chi lavora e produce! Stay tuned.

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