(foto LaPresse)

bandiera bianca

Da una parte c'è la scuola italiana. Dall'altra quella di Alessandro D'Avenia

Antonio Gurrado

Lo scrittore e insegnante ha chiesto al futuro ministro dell'Istruzione di rivoluzionare un'istituzione troppo utilitaristica, tecnocratica, spersonalizzata e competiva. Tutte caratteristiche di cui non ci eravamo mai accorti

In un lungo accorato appello al futuro ministro dell’Istruzione, sempre ammesso che ce ne sia uno, sul Corriere di ieri Alessandro D’Avenia ha richiesto una riforma che metta ogni nuovo nato a contatto con il meglio dell’umanità passata e presente, che esalti l’energia data dall’amore per sé stessi, che rinnovi la scuola attraverso un umanesimo carnale, e che collochi in ogni aula una pianta di cui prendersi cura. La scuola infatti, spiega D’Avenia, è ormai diventata utilitaristica, tecnocratica, spersonalizzata e competitiva.

Utilitaristica poiché vengono studiate solo materie professionalizzanti, tecnocratica poiché ogni insegnante è prigioniero del proprio tablet, spersonalizzata poiché i programmi sono uguali per tutti, e competitiva poiché gli studenti sono valutati e contrapposti secondo uno spietato modello aziendale. E dire che, nei miei anni di insegnamento, mi ero fatto l’idea di una scuola italiana dove vengono insegnati per abitudine contenuti desueti e fini a sé stessi, dove gli strumenti informatici mancano e comunque gli insegnanti non sanno usarli, dove basta avere un raffreddore per ottenere un piano didattico personalizzato al ribasso e, soprattutto, dove gli studenti non competono affatto perché sanno che alla fine in un modo o nell’altro si viene promossi.

Quindi al futuro ministro dell’istruzione, chiunque sia, avanzo a titolo personale una richiesta molto più modesta: non è che può farmi trasferire nella scuola in cui insegna D’Avenia? Grazie.

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