bandiera bianca
L'emblema del Campiello dei Campielli
Il superpremio ideato per celebrare il sessantennale del riconoscimento letterario degli industriali veneti, è stato vinto da Primo Levi con “La Tregua”. Ma cosa rende un romanzo migliore di tutti?
E così, il Campiello dei Campielli, il superpremio ideato per celebrare il sessantennale del riconoscimento letterario degli industriali veneti, è stato vinto da Primo Levi con “La Tregua”. Il romanzo si era già aggiudicato la prima edizione del Premio Campiello: potevano infatti partecipare solo opere che l’avessero vinto in precedenza. A scorrere l’albo doro, tramutatosi in elenco degli sconfitti postumi, ci si accorge che forse meglio dello Strega il Campiello ha fatto fare bella figura alla letteratura italiana degli ultimi decenni.
Si notano romanzi strazianti come “Nati due volte” di Giuseppe Pontiggia, ipnotici come “Sostiene Pereira” di Antonio Tabucchi, appassionanti come “La lunga vita di Marianna Ucria” di Dacia Maraini, spiazzanti come “Per amore solo per amore” di Pasquale Festa Campanile, barocchi come “Diceria dell’untore” di Gesualdo Bufalino, scabri come “Il fratello italiano” di Giovanni Arpino, impietosi come “Per le antiche scale” di Mario Tobino, sublimi come “L’airone” di Giorgio Bassani, spirituali come “L’avventura di un povero cristiano” di Ignazio Silone, oppure scritti da quel genio di Mario Pomilio come “La compromissione” – senza contare il romanzo italiano più sottovalutato del secolo, “I fuochi del Basento” di Raffaele Nigro, e, capolavoro dei capolavori, “Il male oscuro” di Giuseppe Berto.
Questione di gusti, per carità. Cosa rende però “La tregua” romanzo migliore di tutti questi? Il valore testimoniale, la tragedia personale dell’autore, la fermezza morale che lo anima? Tutti aspetti ammirevoli ma che, se fossero il criterio su cui fondare gerarchie di qualità, probabilmente non avremmo potuto avere i sessant’anni di Premi Campiello successivi.