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bandiera binaca

Dire "lista nera" è razzismo?

Antonio Gurrado

In un articolo pubblicato sulla Harvard Business Review una lista di parole proibite per rendere il vostro luogo di lavoro più inclusivo

Si son messe in quattro a scrivere per la Harvard Business Review un articolo che ruota attorno a questo concetto fondamentale: per rendere il vostro luogo di lavoro più inclusivo, ecco una lista di parole proibite. Sai che novità. Ad esempio, niente più “bravi, ragazzi” ma “bravi” e basta, per non offendere le ragazze, giustamente. E nemmeno più “lista nera” o “lista bianca”, le cui opposte accezioni possono agevolmente venire interpretate in senso razziale. Sugli annunci per nuovi impieghi, eliminare il termine “competitivo” che stimolerà i maschi ma scoraggerà le donne. Per i ruoli nell’informatica, evitare di richiedere dei “nativi digitali” onde non discriminare gli anziani che utilizzano il telefono di bachelite. E così via: il tutto partendo dal presupposto che le scelte lessicali siano frutto di pregiudizi inconsci che altrettanto inconsciamente scavano nell’animo del destinatario. Insomma, non siamo padroni di quel che diciamo né di quel che sentiamo; non c’è innocenza in chi scrive né difesa in chi legge. Ogni parola cela un arsenale traumatico. Si sono messe in quattro ma nessuna ha notato che è meglio non dire “Harvard”, per timore di offendere chi  non  ha  studiato  in  un’università  dell’Ivy  League.  Meglio  non  dire  “Business”,  per  non discriminare chi non è nel mondo degli affari o magari è disoccupato. E meglio non dire “Review” per rispetto a chi, quando vuol dire una fesseria, non ha una rivista pronta a pubblicargliela.

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