Piercamillo Davigo (foto LaPresse)

bandiera bianca

La giustizia secondo Davigo applicata al Covid-19

Antonio Gurrado

L'ex sostituto procuratore del pool “Mani pulite” e la gestione dell'emergenza coronavirus

Indignato come tutti dalle parole di Piercamillo Davigo l’altra sera a Piazzapulita, sul fatto che in Italia si fa sempre l’errore di aspettare le sentenze prima di condannare qualcuno, mi sono ricreduto dopo aver letto la sua apologia pronunziata da Gian Carlo Caselli sul Corriere di oggi. Quando Davigo dice che non ho bisogno di aspettare la Cassazione, spiega Caselli, non fa giustizia sommaria ma pone semplicemente una questione morale; il suo non è giustizialismo, ma solo desiderio di fare giustizia senza privilegi. Ha ragione. Tanto che oggi, ma è troppo tardi, rimpiango non sia stata data in mano a Davigo la gestione dell’emergenza Coronavirus. Avremmo risolto tanti problemi a monte: non avremmo fatto l’errore di aspettare i tamponi prima di dover stabilire che qualcuno era positivo; sarebbe bastato sentire uno starnuto per far ricoverare il colpevole in terapia intensiva; non avremmo dovuto ricorrere a più gradi di test sanitario, con il controtampone e il test sierologico e chissà quali altre diavolerie che aiutano i contagiati a farla franca; avremmo infine potuto ragionevolmente inferire che, se dei positivi sono asintomatici, allora tutti gli asintomatici sono potenzialmente positivi, e quindi chiunque stesse bene andava subito messo in isolamento. Si sarebbe agito con maggiore tempestività e più efficacia. Un Davigo a gestire l’emergenza Coronavirus non avrebbe fatto medicina sommaria ma avrebbe semplicemente posto una questione sanitaria; il suo non sarebbe stato medicalismo, ma solo desiderio di curare tutti senza privilegi. D’altronde è noto che non esistono persone sane, solo malati non ancora scoperti.