Il brutto vizio di trasformare tutto in simboli etici. Pure i parchi

Antonio Gurrado

A Modugno, hinterland barese, un giardino pubblico dovrebbe sostituire un palazzone abusivo mai finito. Lo chiameranno parco della legalità: ci sarà un busto di Davigo tra gli alberi?

Salvate Modugno dal simbolismo. Nel paese dell’hinterland barese è stato appena abbattuto un enorme palazzo abusivo e già si è scatenata fra gli assessori la corsa ad annunciare che su quel medesimo suolo verrà inaugurato il parco della legalità. Evidentemente un parco normale, un semplice parchetto, un’area verde per fare due passi e sedersi su una panchina non basta; è necessario che quel rettangolo d’erba sia connotato eticamente già ora che è soltanto immaginario, così che la fantasia possa sbizzarrirsi. Chissà com’è un parco della legalità: magari vi sarà erto un busto di Piercamillo Davigo, magari ai cani sarà consentito sgambarci solo dopo aver sottoscritto un codice etico. Ma, a pensarci, anche il palazzone abbattuto era un simbolo: era stato iniziato nel 1972 e, in quarantasette anni, mai terminato, pare anche a causa di una quadriglia di permessi edilizi concessi e revocati, sentenze di abusivismo passate in giudicato senza che nessuno facesse alcunché, tempi biblici per ottenere l’abbattimento. Allora sì, forse potrebbe avere senso inaugurare a Modugno il parco della legalità, ma solo a patto di affiggervi una targa che reciti: “Qui sorgeva l’ecomostro della giurisprudenza”.

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