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Da Balotelli all'Aurora Desio. Il razzismo è un problema di domani

Antonio Gurrado

Il caso di Verona non ci aiuta a capire. La priorità è estirpare la mala pianta prima che cresca e avveleni tutto

Lasciamo perdere i grandi e concentriamoci sui piccoli. Nello stesso weekend dei cori beceri contro Balotelli, in Brianza si verificava un caso di razzismo calcistico in miniatura: durante la partita dei pulcini dell’Aurora Desio un giocatore è stato apostrofato quale “negro di merda” dalla madre di un avversario. Questo evento da osservare al microscopio ci insegna qualcosa che il calcio dei grandi è forse troppo nebuloso o ipocrita per mostrare con altrettanta chiarezza. “Pulcini” significa bambini di nove-dieci anni, e urlare una frase del genere a un bambino di quell’età dimostra che il razzismo non ha a che fare con nessuna alata questione di identità geopolitica con cui si cerca di velarlo; urlare una frase del genere a un bambino di quell’età dimostra che si tratta solo di odio cieco irragionevole bestiale, che ama accanirsi contro chi è più debole e, nella circostanza, più piccolo.

 

“Madre” significa invece persona che ha avuto almeno un figlio e chissà come lo sta educando: a dimostrazione che in Italia il razzismo, dentro o fuori dagli stadi, va affrontato soprattutto come problema di domani, non di oggi. Se lo si pone come questione di attualità ci si impania nel dibattito su retrospettive e recriminazioni (“ma io volevo dire”, “non si può limitare la libertà d’espressione”, “erano buu goliardici”, “avremmo fischiato anche un calciatore bianco”, eccetera) e non se ne esce più. Se invece lo si pone come problema del futuro, viene più facile debellarlo partendo dal presupposto che le chiacchiere sono chiacchiere mentre la priorità è estirpare la mala pianta prima che cresca e avveleni tutto. 

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