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Il demone dell'intrattenimento

Antonio Gurrado

Ero salito sul treno e volevo leggere un libro in santa pace. Impossibile

Ho preso un treno. L’obiettivo, oltre che arrivare a destinazione, era disporre di un raccolto spazio neutro e di un breve tempo sospeso che mi consentisse di terminare finalmente la lettura di “Centuria” di Manganelli, lacuna scusabile solo in parte con l’evenienza che l’opera fosse stata pubblicata prima che nascessi. Ma l’intrattenimento, demone di questo secolo, s’insinua ovunque e non ne è immune la ferrovia, dove si manifesta sotto forme inattese. Dapprima come cerimoniale, con la voce automatica che dà il benvenuto a bordo specificando il numero del treno e l’elenco dettagliatissimo delle fermate; segue versione in inglese, caso mai dall’estero fosse planato un passeggero aduso a salire su mezzi di trasporto a caso o, peggio ancora, risvegliatosi dal coma direttamente su quel sedile. Quindi come consolazione, con l’annuncio che il treno sta partendo, rassicurazione sensata se si pensa che buona parte dei passeggeri ha pagato il biglietto proprio nella speranza di tale evento; segue versione in inglese, caso mai dall’estero fosse giunto un passeggero non preparato all’evenienza che in Italia i treni possano muoversi. Arriva poi l’ammonimento, col severo proclama del divieto di fumare in qualsiasi ambiente del convoglio; segue versione in inglese, caso mai dall’estero si fosse rifugiato un passeggero tabagista al solo scopo di fumare il calumet nel cesso del primo treno italiano a disposizione. Si culmina nell’intrattenimento in sé e per sé, con la notifica dell’ampio arsenale di film, musica e giochi a disposizione di chi riuscisse a farsi cogliere dall’horror vacui fra un annuncio e l’altro. Dopo di che, passa il controllore che mi domanda cospiratorio il codice segreto annesso al mio biglietto; indi il volontario di non so quale raccolta di carità il quale, per captare la mia benevolenza, dichiara quanto gli piacciono quelli che leggono in treno, e per questo mi interrompe. Alla prima stazione, il ciclo ricomincia e così via di fermata in fermata; così che, quando devo scendere, “Centuria” è ancora lì non finito, ma è colpa mia. O non dovevo prendere il treno o dovevo sbrigarmi a nascere prima.

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