Il caso Mulan e la nostra curiosa concezione della verità

Antonio Gurrado

Arriva il trailer del film ed ecco le polemiche contro i produttori della Disney, rei di essersi venduti ai cinesi adeguando la trama ai gusti orientali

La curiosa concezione della verità che caratterizza la nostra epoca è riscontrabile anche nelle reazioni al trailer del film con attori in carne e ossa che la Disney sta preparando come remake di “Mulan”. Il film uscirà fra un anno ma già impazza la polemica da taverna sui social, con frotte di quidam che accusano i produttori di essersi venduti ai cinesi adeguando la trama ai gusti orientali.

 

Rispetto al cartone del 1998, che non incontrò gran successo in Cina, sparisce infatti la trama romantica che consegnava alfine Mulan fra le braccia di un aitante capitano. Il guaio è che la storia originale di Mulan prevede che la protagonista si arruoli al posto del padre e, dopo aver combattuto per dodici anni vestita da maschio, secondo la versione ottimistica si faccia ricompensare con un cavallo, secondo quella pessimistica scopra che il padre è morto e si suicidi cavallo nonostante. Questa storia è contenuta in una ballata del VI secolo, andata perduta e ricostruita dai sinologi solo tramite fonti secondarie dei secoli successivi, a cominciare da un dramma del 1593 e un romanzo popolare del Seicento, e i cinesi fanno film al riguardo dal 1927; la nostra curiosa concezione della verità però è tale che ci arrabbiamo subito e gridiamo al tradimento non appena ci accorgiamo che la realtà non coincide con un cartone animato.

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