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Twitter dopo l'incendio di Notre Dame

Antonio Gurrado

Cosa ha spinto molti utenti a ripetere approssimativamente i concetti già espressi da Macron in forma istituzionale

M'incuriosivano i Jean Becker, le Mymy Damba e tutti i quidam insomma che ieri si affrettavano a chiosare su Twitter le prime parole di Macron dopo l’incendio di Notre Dame. Poiché il tweet presidenziale è stato proiettato su ogni canale televisivo, la grafica del social ha consentito ai suoi commentatori più rapidi o più fortunati di vedere riverberati in ogni angolo del globo il proprio nome e la propria opinione. Non parlo di pirla complottisti o di aridi misogalli, né dei creativi (scandisco: cre-a-ti-vi) che hanno prodotto un meme col tetto della basilica infuocato dalle fauci dei draghi di Game of Thrones. Si trattava di persone affrante che si accodavano a Macron ripetendo approssimativamente i concetti già espressi da lui in forma istituzionale. A che pro farlo? Temevano che il presidente non si fosse spiegato bene o che cercasse conferme online come un adolescente? Così m’interrogavo fino a che, dentro di me, lo strazio dinanzi all’immagine continua delle fiamme non mi ha sussurrato la risposta: non lo fanno per vanità né per mancanza di proporzione. I loro nomi eternati in mondovisione sotto il tweet di Macron stanno a significare che non importa che tu sia presidente della repubblica o passante qualsiasi; vedendo bruciare i secoli di Notre Dame, capisci che polvere eri e polvere tornerai.