Raffaele Fitto e Giorgia Meloni (foto Imagoeconomica)

Fitto e la parabola del conservatorismo italiano

Antonio Gurrado

L'eurodeputato aveva fondato un partito conservatore con l’auspicio di emulare la nobile tradizione dei Tory britannici. È diventato una piccola scritta nel simbolo di Fratelli d'Italia

Più del bidone che Viktor Orbán e Marine Le Pen hanno tirato alla convention sovranista organizzata da Matteo Salvini, dovrebbe colpire la presenza di Raffaele Fitto al tavolo coi polacchi clericali ed euroscettici visitati da Giorgia Meloni. Che l’ex governatore della Puglia fosse lì è ineccepibile burocraticamente, stante che è l’unico europarlamentare italiano nel gruppo dei Conservatori e Riformisti, cui appartiene il partito di Jarosław Kaczyński. Se non che, politicamente, fa specie vedere l’ex enfant prodige del moderatismo di governo, erede di una solida schiatta cristiano-democratica e ammirevole per garbo nell’agone politico, coinvolto nell’omaggio vassallatico al più grande paese del gruppo di Visegrád. Qualche anno fa Fitto aveva fondato un partito conservatore con l’auspicio di emulare la nobile tradizione dei Tory britannici, ricevendo a un tavolino la frettolosa benedizione di David Cameron. Ora frequenta compagnie internazionali meno raccomandabili e i suoi conservatori sono diventati una piccola scritta nella mezzaluna inferiore dello stemma della Meloni: specularmente a loro, pencola la scritta “sovranisti”, della stessa dimensione. È questa la sorte del conservatorismo italiano? Un ridimensionamento delle ambizioni forse eccessivo, forse rischioso, senza nemmeno un Cameron a ricordargli che fine ha fatto lui.

 

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