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Buone ragioni per non credere alla democrazia diretta

Antonio Gurrado

Antonio Moresco equipara gli aedi della democrazia diretta e delle autostrade digitali a quei cialtroni contro i quali Leopardi si scagliava due secoli fa

Non dico leggere Leopardi ma, almeno, Antonio Moresco che ne “Il grido” (Società editrice milanese) offre uno zibaldone shakerato di ragionevole sfiducia nella specie umana: quella che le masse, impermalosite dal trovarsi davanti uno specchio, etichettano con lo stupido nome di pessimismo. Moresco equipara gli aedi della democrazia diretta e delle autostrade digitali a quei cialtroni contro i quali Leopardi si scagliava due secoli fa; costoro promettevano infatti la felicità delle masse senza spiegare come mai le singole persone che le compongono non riescano mai a essere felici individualmente. La somma di numeri negativi dà forse un totale positivo? Idem, spiega Moresco, non si capisce come la volontà generale espressa su una piattaforma online possa partorire uno Stato onesto, trasparente, migliore in quanto rispecchia l’animo intimo del popolo: “Non è vero che le moltitudini democratiche non possono sbagliare. Non si capisce perché lo si può dire riguardo ai singoli, perché si può dire che io, tu, lui, eccetera possiamo commettere errori e persino crimini, mentre non lo si può dire se questi singoli diventano una moltitudine ridotta a insieme matematico e statistico”. Ecco, immaginate il mostro che potrebbe venire fuori da un plebiscito online che assommasse tutta l’ignoranza, l’ipocrisia, la grettezza, la fanfaronaggine, l’approssimazione, la pusillanimità, l’incoerenza, la dabbenaggine (per tacere della disonestà) di ogni singolo elettore. È un sollievo pensare che, per ora, ne sia uscito solo Di Maio.

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