Tim Robbins (foto LaPresse)

La nuova estetica dell'arte del popolo, per il popolo

Antonio Gurrado

Il premio Oscar Tim Robbins teorizza un supposto movente etico e un fine politico nelle opere artistiche, in contrapposizione con quelle realizzate dalle élite intellettuali

Ospite a Firenze per la manifestazione “Unity in diversity”, Tim Robbins – premio Oscar per “Mystic River”, regista di “Dead Man Walking” – ha delineato una nuova idea di estetica. L’arte nel suo senso più generale, ha spiegato, non deve avere il solo scopo di divertire o intrattenere; non dev’essere elitaria ma raccontare le difficoltà e rivolgersi agli umili, ai deboli, agli emarginati; l’arte deve insomma essere prodotta dalla gente comune a favore della gente comune. Questa nuova forma di populismo estetico non si basa solo sull’assunto ormai diffuso che l’arte debba avere un movente etico e un fine politico, cioè che debba essere prodotta da un ben intenzionato allo scopo di emendare la società. Parte piuttosto dall’idea che l’arte prodotta da “loro” (gli eccelsi, l’élite, i ricchi) sia destinata solo a “loro” (gli intenditori, l’élite, i ricchi) escludendo quindi la “gente” (i poveri, gli eguali, il popolo) cui va destinata una nuova arte prodotta dalla “gente” (i poveri, gli eguali, il popolo). Su questa linea Tim Robbins ha presentato il proprio nuovo spettacolo in cui dodici attori di varie nazionalità, tutti migranti o figli di migranti, narrano le tragedie della migrazione dal 1865 a oggi. Un’opera d’arte del popolo per il popolo che io, in quanto membro di una élite intellettuale, lascerò godere al popolo restando invece a casa di fronte a un evento estetico fine a sé stesso e prodotto dai ricchi per i ricchi: la Champions League su Sky.

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