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Cosa resta dell'insegnamento di Guareschi?

Antonio Gurrado

"È morto lo scrittore che non era mai nato", titolò esattamente cinquant’anni fa l’Unità per annunciare la morte dello scrittore

È morto lo scrittore che non era mai nato, titolò esattamente cinquant’anni fa l’Unità per annunciare la morte di Giovannino Guareschi. Poi giunse la doverosa rivalutazione, anche da sinistra; si comprese che utilizzare un vocabolario di trecento lemmi (stima sua, al ribasso) per riuscire a comprendere certe pieghe dell’animo umano era titolo di merito, non di demerito; la tv continuò a trasmettere i film di Don Camillo sapendoli permanenti casseforti di audience, la Rizzoli pubblicò meritoriamente l’opera omnia sotto la cura filiale di Albertino e della Pasionaria, fiorirono studi e libri (principe, Alessandro Gnocchi) e si comprese che il giudizio liquidatorio era stato a dir poco affrettato.

 

Oggi però cosa resta dell’insegnamento di Guareschi?

 

Nessuna traccia del catechismo dei semplici, che papa Giovanni voleva affidare alla sua penna, perché anziché utilizzare parole facili per spiegare una dottrina complicata la Chiesa ha preferito semplificare la dottrina talvolta svendendola all’attualità. I cattolici in politica si sono dileguati. Il conservatorismo si è ridotto a tonitruante operetta in felpa, mentre i difensori del popolo non hanno più il fazzoletto rosso al collo e mezzo toscano in tasca ma vestono con la pacchiana grisaglia che il popolo immagina propria delle élite, o dei rappresentanti immobiliari. I trinariciuti – quelli che secondo Guareschi si servivano del foro in sovrannumero per espellere la materia grigia e inalare le direttive di partito – stanno invece benissimo anzi si sono evoluti: collegano la terza narice direttamente a internet e ognuno di loro blatera da solo costituendo così una salda maggioranza di solipsisti accecati. È davvero morto lo scrittore che non era mai morto, dovrebbe titolare oggi l’Unità; ma non c’è più nemmeno lei.

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