L'epoca in cui i muli pretesero il diritto di essere cavalli

Antonio Gurrado

La storia di Wallace, che voleva partecipare a una gara di dressage

Se un comun denominatore dovesse definire la nostra epoca, potrebbe essere la testarda esigenza di veder riconosciuto come diritto ciò che va oltre i limiti che la cruda oggettività c’impone. Non siamo bravi a scuola ma vogliamo essere promossi. Non abbiamo nessun talento artistico ma vogliamo esprimere la nostra creatività. Non sappiamo nulla di come funzioni uno Stato ma vogliamo governare senza intermediari. E così via con innumerevoli esempi i quali tutti impallidiscono di fronte a questa storia postorwelliana che giunge dall’Inghilterra: il settimanale “Horse & Hound” (sì, proprio il “Cavalli & Segugi” caro ai fan di “Notting Hill”) ha segnalato che a Wallace, un mulo versato nell’equitazione, è stato impedito di partecipare a gare di dressage perché la Federazione Equestre Internazionale consente solo ai cavalli di partecipare alle gare per cavalli. Tanta ottusità discriminatoria è stata subito rimarcata dall’istruttrice di Wallace, la quale ha sottolineato che, a parte non essere un cavallo, a Wallace non manca proprio nulla per essere un cavallo; è intelligente, elegante, abile, addestrato.  Alcuni esperti ribattono che la presenza del mulo potrebbe far imbizzarrire i cavalli con danni ingenti ma sospendo il giudizio al riguardo poiché, avendo cessato da tempo di andare a quattro zampe, non mi sento portato all’argomento. Mi limito dunque a suggerire agli storici, che fra mezzo millennio dovranno dire qualcosa di ragionevole su questi tempi scombiccherati, di periodizzarci con questa definizione: l’epoca in cui i muli pretesero il diritto di essere cavalli.

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