Salammbô, Adrien Tanoux (1921)

Definire amore anche ciò che non lo è porta alla regressione del maschio

Antonio Gurrado

Dal libro di Francesco Pacifico, “Le donne amate”, di capisce come si sia ridotto l’amore a categoria incerta e confusa

Dov’è finito il romanzo d’amore? Nel nuovo libro di Francesco Pacifico, appena pubblicato da Rizzoli, sapevo che avrei trovato un’accurata costruzione narrativa e un saggio disvelamento della trama ma non sapevo che mi sarei imbattuto in un contenuto spiazzante. Promette bene il titolo, “Le donne amate”, promette benissimo l’immagine di copertina, sei signorine contemporaneamente adagiate sullo stesso divano, ma ecco che lì dove mi aspetto un catalogo dapontiano mi coglie invece un album degli affetti: dopo l’amante, dopo la moglie, nei capitoli successivi il protagonista passa in rassegna l’amore per la cognata, la sorella, la mamma. La mamma? Ma l’amore un tempo non serviva proprio a fuggire da lei per consegnarsi a qualcun’altra? Credo sia perché la nostra epoca ha ridotto l’amore a categoria incerta e confusa, di cui ognuno può stabilire i confini a patto che definisca con lo stesso termine l’eros che lo inchioda a letto con una zozzona e il cordone che lo avviluppa al grembo d’origine, la tacita confidenza con una collega e l’emozione per un’estranea che forse sorrideva in questa direzione. Da bravo romanziere, Pacifico coglie un aspetto della contemporaneità che magari va oltre le sue originarie intenzioni: senza sfumature l’amore diventa antierotico, e lì dove si cerca di definire amore anche ciò che non è conquista bensì ripiegamento non si ottiene come risultato l’elevazione amorosa di ogni sentimento ma solo la regressione infantile del maschio.

Di più su questi argomenti: