In difesa del prete di Manduria che ha negato la lavanda dei piedi ai migranti

Antonio Gurrado

Mettere sull’altare dodici immigrati per il solo gusto di metterceli e farne parlare tutta la provincia di Taranto è un atto fine a sé stesso

Perché una piccola ma resistente parte di me si rifiuta di stigmatizzare il rifiuto del prete di Manduria, quello che non ha voluto lavare i piedi a dodici immigrati durante la messa In Coena Domini? La parte sentimentale, che è preponderante, mi ricorda che il rito della lavanda dei piedi significa farsi servi dei servi, mettere i sacerdoti a disposizione degli ultimi; e, in effetti, chi è più ultimo del povero che fugge dalla propria nazione? La parte razionale, che è tuttavia coriacea, mi illustra però che all’ultima cena Gesù volle compiere il suo gesto di umiltà non verso dodici passanti bensì verso dodici persone che aveva scelto accuratamente e guidato per anni, in vista di un mandato che andava ben oltre il momento eclatante. Il sentimento mi fa intuire che oggi, in mancanza di pescatori, è necessario andare a cercare testimoni fra i nuovi reietti; l’intelletto mi fa capire che mettere sull’altare dodici immigrati per il solo gusto di metterceli e farne parlare tutta la provincia di Taranto è un atto fine a sé stesso, che può svilire tanto le persone quanto il rito, e dal voler dare esempio al voler dare spettacolo il passo è breve. Col cuore si crede, diceva San Paolo. Anche con un po’ di cervello, aggiungerei io.

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