Il titolo di uno dei fotoromanzi prodotti dal Pci

Bandiera Bianca

I fotoromanzi del Pci e il Pd che non ha ancora imparato la lezione

Antonio Gurrado

Il partito comunista cedeva allo strumento del nemico illudendosi che sarebbe bastato a mimetizzarsi, a carpirne i benefici e a superare le sconfitte elettorali

Appello ai dirigenti (piccoli e grandi) del Pd: anziché litigare, venite a Marsiglia. Qui, oltre a rilassarvi col pastis, potrete visitare una mostra sul fotoromanzo fichissima di per sé ma soprattutto politicamente istruttiva. Si apprende infatti che dal 1958 al 1964 il Partito Comunista Italiano, scottato dai risultati delle elezioni, produceva fotoromanzi in proprio per fare propaganda, con titoli come “La grande speranza” o “La vita cambierà”. In una delle tavole esposte nella mostra, si notano i dirigenti di una cellula fare ciò in cui erano più versati: contemplare la sconfitta, analizzando i risultati negativi e spiegando, in verbosissimi fumetti, che sul voto aveva pesato l’assenza dei compagni emigrati o la sedazione televisiva.

 

Il punto è questo: col fotoromanzo, il Pci cercava di fornire un contenuto politicamente utile veicolandolo attraverso uno strumento non solo frivolo di per sé ma tipico di una fascia di elettorato che votava altrove; le signorine e i signorini che si sdilinquivano sui fotoromanzi romantici di “Sogno” (con gli esordi di Sophia Loren) o su quelli edificanti di “Famiglia Cristiana” (con le vite dei santi interpretati da austeri modelli) erano il bacino tipico della Dc e del voto reazionario. Servirsi del fotoromanzo per analizzare la sconfitta significava cedere allo strumento del nemico illudendosi che sarebbe bastato a mimetizzarsi e a carpirne i benefici. Sono passati cinquant’anni e non è servito a niente. Per chi non lo sapesse, il fotoromanzo era costituito da una serie di foto con didascalie più o meno sensatamente appiccicate per raccontare una storia a stento credibile; se esistesse ancora oggi, si chiamerebbe Facebook.

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