L'Oxford dictionary

Lo stantio giovanilismo di Oxford, che sceglie youthquake come parola dell'anno

Antonio Gurrado

Il dizionario inglese scopre la (presunta) ventata di freschezza delle nuove generazioni e sposa il luogo comune secondo cui essere giovani costituisca un valore di per sé

C’è stata “svapare”, c’è stata “postverità”, c’è stata perfino l’emoji con la faccina che ride fino alle lacrime; ormai quindi non c’è più da stupirsi per la parola dell’anno scelta dall’Oxford Dictionary. Quella del 2017 è youthquake, termine che sicuramente non avevate sulla punta della lingua, anche perché difficilmente può essere reso in Italiano: significa un metaforico terremoto (earthquake) causato dalla spinta propulsiva della gioventù (youth). È stata scelta per celebrare la mobilitazione dei millennial risultata decisiva nelle elezioni britanniche (benché perse) e in quelle neozelandesi (benché ininfluenti). Diciamo che un Lewis Carroll o un James Joyce possono ancora dormire tranquilli sui loro allori di coniatori di mot-valise; e diciamo anche che viene più facile associare l’anno appena trascorso alla parola scelta dal vocabolario Cambridge, “populismo”, o meglio ancora dal Merriam-Webster, “femminismo”. Considerato tuttavia che le alternative erano kompromat e broflake, forse è andata ancora bene.

 

Del resto a Oxford, purtroppo, sono fatti così. Oltre a voler posare a tutti i costi da eccentrici, essendo molto tradizionalisti sono ancora legati al luogo comune che essere giovani costituisca un valore di per sé, nonché all’illusione che le nuove generazioni cambieranno il mondo. In effetti la parola di quest’anno presenta una novità. Di solito veniva scelto un termine che non compariva nel vocabolario e che celebrava così il proprio ingresso nella lingua ufficiale. In questo caso invece è stato scelto un lemma che già vi figurava; la prima ricorrenza di youthquake risale infatti all’utilizzo da parte della direttrice di Vogue Diana Vreeland onde significare la ventata di freschezza portata dagli adolescenti. È un termine vecchio, degli anni Sessanta, a conferma che nulla è più stantio del giovanilismo.

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