Buone ragioni per fondare un partito antianimalista

Antonio Gurrado

A Pavia un uomo lascia in eredità ai suoi cani un milione di euro. Perché nessun politico dice che troppa attenzione ai nostri piccoli amici ne implica troppo poca verso i nostri simili?

Da giorni m’interrogo su quali problemi concreti della società avrebbero potuto richiamare l’attenzione dell’ottantenne di Pavia che ha lasciato in eredità un milione di euro ai cani. Purtroppo le risposte abbondano: per limitarmi alla sua città - che incidentalmente è la mia ma potrebbe essere qualsiasi altra - mi accorgo che nel corso della sua lunga vita varie fabbriche hanno chiuso, la ricerca ha perso finanziamenti, gli immigrati si sono moltiplicati, le file alla mensa del povero sono arrivate all’altro capo dell’isolato, le famiglie rovinate dal gioco non si contano, i bambini ricoverati in oncoematologia pediatrica non avevano il televisore (poi per fortuna qualcuno ha organizzato una colletta), e chissà quanti altri guai dimentico all’impronta. Lui, serafico, ha differenziato l’investimento nel futuro: beni per circa novecento milioni ad associazioni per la tutela dei quadrupedi; ventimila euro a persone incaricate di garantire ai suoi due cani una vita confortevole. Ma quanto camperanno ancora questi cani? E di quali comfort avranno mai bisogno, per consumare ciò che garantirebbe un anno di vita decente a un cristiano? Perché nessun politico si espone mai dicendo che troppa attenzione ai nostri piccoli amici ne implica troppo poca verso i nostri simili? È possibile che, per affrontare emergenze sociali gigantesche, ci si debba augurare che qualcuno fondi un partito antianimalista?

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