JK Rowling (foto LaPresse)

Se sei uno scrittore e guadagni brandendo il tuo sesso, sei uno svergognato

Antonio Gurrado

Gli pseudonimi per affermarsi in un mondo dominato dai maschi

Povero maschio, non hai diritto ai tuoi soldi. Se sei uno scrittore e li guadagni brandendo il tuo sesso, svergognato, vieni accusato di perpetrare anche in letteratura lo scandalo del gender pay gap e della disparità di trattamento in base ai cromosomi. Allora ti viene sventolato in faccia l'esempio di JK Rowling, che per far prendere “Harry Potter” in considerazione dalle case editrici ha dovuto neutralizzare il proprio nome dietro asettiche iniziali, e che per far risultare credibile il suo giallo hardboiled ha dovuto trasformarsi in Robert Galbraith. Se invece sei uno scrittore ma firmi con pseudonimo femminile, onde ingolosire i lettori e vendere qualche copia in più, sei uno sciacallo disposto a tutto pur d'incamerare più diritti d'autore: sfrutti quella curiosità pruriginosa che, nella morbosa mentalità patriarcale, da sempre accompagna l'immagine della donna che legge o che scrive.

 

Allora vieni accusato di appropriazione culturale, come un cowboy che indossa il copricapo di piume per riuscire simpatico agli indiani, o come un bergamasco che si fa rasta per il solo piacere di passare per minoranza vessata. Vernon Lee, George Sand, George Eliot: loro sì che erano donne meritevoli, perché erano state capaci di combattere le ristrettezze della loro epoca trascendendo l'identità femminile e riuscendo ad affermarsi, per mezzo di pseudonimi da uomini, in un mondo dominato dai maschi. Mica come oggi.

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