Quanto ci hanno impoverito gli anni spesi a studiare

Antonio Gurrado

La nostra cultura ci trasforma in parvenu che hanno investito tutto nell’argenteria e che, per fare bella figura, s’indebitano per assumere un maggiordomo che la lucidi

Domandarsi se con la cultura non si mangia è ozioso, domandarsi in che modo la cultura impoverisca è più utile. Uno dei libri più interessanti del prossimo autunno sarà “Teoria della classe disagiata” di Raffaele Alberto Ventura (in uscita a settembre per minimum fax), che contiene fra l’altro un attacco formidabile alla cultura intesa come bene di lusso; in particolare alla cultura umanistica, in particolare alle lauree umanistiche, in particolare alla laurea in filosofia. Sin dal titolo Ventura si rifà al celebre “Teoria della classe agiata” di Thorstein Veblen, che teorizzava come il benessere portasse all’impoverimento: chi è abbastanza benestante è costretto a spese sempre maggiori per affermare il proprio status, così da finire per avere un tenore di vita peggiore di un povero senza ambizioni.

 

La classe agiata di Veblen era la borghesia americana di fine Ottocento. La classe disagiata di Ventura siamo noi trenta-quarantenni di inizio Duemila che abbiamo investito nell’accumulo di titoli di istruzione superflui e che ora, nella speranza che fruttino, siamo costretti a continui investimenti in un apparato che ci dimostri acculturati: libri, cinema, concerti, viaggi, slow food… La nostra cultura ci trasforma in parvenu che hanno investito tutti i propri averi nell’argenteria ma, onde fare bella figura, s’indebitano per assumere un maggiordomo che la lucidi. E se ripensando ai vostri studi vi pare di avere pagato relativamente poco, fra esenzioni fiscali e affitti stracciati per matricole, ricordate che la vostra laurea, magari umanistica, magari in filosofia, non vi è costata solo ciò che avete speso; vi è costata tutti i soldi che non vi ha fatto guadagnare.

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