Se spacciare a Milano è meno grave di giocare a Pokémon Go in Russia

Antonio Gurrado

Il destino diverso di un blogger russo e di uno spacciatore ivoriano che prima di essere arrestato ha malmenato due agenti

Che differenza passa fra un giudice di Milano e uno di Ekaterinburg, città russa degli Urali? Varie, per fortuna, ma una mi colpisce: la differente concezione del rapporto fra virtuale e reale. I fatti. A Ekaterinburg il tribunale ha disposto centosessanta ore di lavori socialmente utili per il blogger Ruslan Sokolovsky, reo di avere praticato il Pokémon Go in chiesa. Sokolovsky si era fatto riprendere mentre giocava nella Cattedrale del Sangue, costruita sul luogo dove fu trucidato lo zar Nicola II: nonostante che a rigor di logica il suo reato fosse virtuale, in quanto catturava mostriciattoli presenti esclusivamente sul proprio smartphone ma non nelle navate, la giustizia russa ha ritenuto opportuno comminargli espressamente una “pena reale”. Al contrario, un giovane ivoriano sorpreso a spacciare a Corso Como aveva compiuto un reato reale malmenando due vigili nel tentativo di resistere all'arresto. Costoro erano riusciti a sopraffarlo e l'avevano tradotto al fresco prima di ricevere rispettivamente sette e quindici giorni di prognosi. Tempo una notte, però, e al mattino dopo il giudice monocratico del tribunale di Milano ne ha disposto la scarcerazione per direttissima, argomentando che il pur spregevole comportamento dell'arrestato poteva reputarsi giustificabile in base a un suo immateriale sentimento di “insofferenza per i controlli di polizia”. A conferma del fatto che per la giustizia italiana il virtuale conta molto di più del reale.