Perché il "volemose bene" dell'Erasmus realizza l'utopia socialista

Antonio Gurrado

Il programma di scambio dell'Unione europea compie 30 anni

Il programma Erasmus realizza il socialismo utopistico. L'ho capito guardando le iniziative promozionali che l'Unione europea ha imbastito per celebrare il trentennale degli scambi internazionali fra università; spicca un video in cui il commissario europeo alla ricerca, Carlos Modeas, ricorda i tempi del proprio Erasmus a Parigi nel 1993 ed esorta i giovani europei: “Fatelo, fatelo, fatelo anche se i vostri genitori vi dicono di non farlo”. Perché mai un'istituzione dovrebbe esortare a disubbidire alla famiglia? La risposta è nel video stesso. Modeas spiega che in Erasmus non contano lo studio né le lezioni bensì l'esperienza umana; in effetti, stando alle riprese, in Erasmus ci si sbaciucchia, si esce insieme, si sta tutti attorno al tavolino di un bar, si passeggia guardando intensamente negli occhi persone di varia etnia, si scrivono cartelloni, si ride, si sta un po' davanti al computer, si va in barca, si sta un altro po' davanti al computer, ci si abbraccia un sacco, si fanno gli occhi dolci e si azzardano sorrisi promettenti. Insomma, in Erasmus ci si migliora divertendosi; tanto che oggi, continua Modeas, “quando vengo al lavoro ogni mattina sento che in realtà non sto lavorando ma sto solo ripagando ciò che l'Europa ha fatto per me”.

 

Bene. In pieno Ottocento Charles Fourier aveva teorizzato un Ordine Societario i cui membri (detti Civilizzati) venissero spinti a lavorare convinti di divertirsi: “Quando osserveranno che nella famiglia attuale i giovani non fanno altro che litigare e che questi stessi figli, introdotti nelle Serie Progressive, si istruiscono volontariamente, producono e guadagnano convinti di divertirsi, allora i padri vedranno questo nuovo ordine e troveranno i propri figli adorabili nella Serie, e detestabili nella famiglia incoerente”.

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