Pare che in Romagna abbiano trovato la cura omeopatica contro l'omosessualità

Antonio Gurrado

Si chiama Ovaria e c'è da sperare che sia una bufala. Ma il dato certo sono i motivi dell'indignazione che ha scatenato

In Romagna sono dei mattacchioni, pertanto è auspicabile sia una bufala la storia di Ovaria, rimedio omeopatico venduto nelle farmacie litoranee onde curare “irregolarità mestruali, disturbi del climaterio, deficit di memoria, depressione, complesso di inferiorità, enuresi notturna, tendenze lesbiche, oligospermia e congestioni”. Vero o falso, non importa. Ai nostri fini conta invece la reazione di scandalo collettivo scatenatasi all'idea di curare le tendenze lesbiche con un trattamento omeopatico da assumersi 4-6 volte al dì: idea orribile, ma non tanto per il fatto (come tutti hanno notato) che l'omosessualità non sia una malattia.

 

Certo che non lo è, e quindi non c'è niente da curare; ma reputo molto più grave l'idea che una medicina possa fungere da dissuasore del libero arbitrio. Mi spiego. L'attività sessuale è determinata dal modo in cui incanaliamo un istinto naturale: è un atto, e come ogni atto è frutto della libertà che si gode e di come la si esercita. La fame è un istinto, scegliere cosa mangiare è un atto (comunque gioioso), dichiararsi vegani è una tendenza, ossia una costruzione intellettuale. L'eros è un istinto, scegliere come fare sesso è un atto (comunque gioioso), dichiararsi appartenenti a una categoria sessuale e trasformare l'erotismo in appartenenza o militanza è una tendenza, è costruzione e artificio che ne limita libertà e bellezza. La storia di Ovaria ha una sua morale intrinseca non tanto nel fatto che l'omosessualità non sia una malattia quanto nel dettaglio non trascurabile che l'omeopatia non sia medicina, così come il sesso non è una tendenza. Questa storia è tutta un placebo.

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