Il dialogo surreale su droga e mafia tra Roberto Saviano e Wagner Moura

Antonio Gurrado
Non è curioso che per dialogare con Roberto Saviano sulla droga e sul potere delle mafie la web tv di Repubblica abbia scelto il protagonista di “Narcos”, serie-culto di Netflix?

Non è curioso che per dialogare con Roberto Saviano sulla droga e sul potere delle mafie la web tv di Repubblica abbia scelto il protagonista di “Narcos”, serie-culto di Netflix? Chiedere a Wagner Moura di esporre una teoria sociologica sul narcotraffico, basandosi sul fatto che ha interpretato Pablo Escobar, è come chiedere a Tom Hulce di suonarci qualcosa perché ha interpretato Mozart: non denota una certa confusione fra realtà e finzione? Non è assurdo che, per sancire il fallimento della strategia proibizionista, la voce più credibile che siano stati in grado di trovare è di uno che davanti alle telecamere ha fatto finta di essere un narcotrafficante? A questo punto tanto vale affidare gli equilibri della sicurezza internazionale a Ben Affleck vestito da Batman.

 

Non è surreale che le idee di Moura sulla droga vengano presentate come un parere accreditato a supporto delle ipotesi di Saviano, mentre Moura stesso, probabilmente più consapevole del discrimine fra vita e fantasia, insiste sul fatto di star esprimendo un'opinione personale come un'altra? Ma, soprattutto, non è sminuente o addirittura larvatamente offensivo mettere Saviano sullo stesso piano di uno che nell'intervista trae la propria autorevolezza esclusivamente dall'avere interpretato un personaggio di grande successo fra il pubblico? No, in effetti, probabilmente no.