Leggere Nori per evitare librerie senza libri e parole senza cose

Antonio Gurrado
Nori racconta che da giovane aveva iniziato a cercare le parole nel cielo della letteratura; pertanto si sforzava di usare una lingua da cui non si capisse che lui era di Parma. Dal 1999, invece, Nori si è messo a scrivere l'italiano che si parla a Parma, dove non si usano mai parole come “felicità” o “amore” perché non hanno un equivalente dialettale.

Grazie a “Le parole senza le cose” di Paolo Nori (Laterza) ho capito che il ruolo degli scrittori nella società si evolve parallelamente a quello delle librerie nelle città. Nori viene da Parma quindi non sopporta che la Feltrinelli di Strada della Repubblica, che era un bugigattolo onusto di libri, sia diventata la Feltrinelli di Strada Farini: un palazzone che al pianterreno trabocca di insaccati, bottiglie, design, cancelleria e cartelli con su scritto “I libri sono ai piani superiori”. Nori passa da Milano, scopre che la Feltrinelli RED di Piazza Gae Aulenti è un bar con qualche libro posato qua e là per fare scena, e comprende che la libreria senza libri è un esempio perfetto di parola senza cosa, vuoto rumore che serve a illudersi ignorando la realtà.

 

Nori racconta che da giovane aveva iniziato a cercare le parole nel cielo della letteratura; pertanto si sforzava di usare una lingua da cui non si capisse che lui era di Parma, altrimenti non avrebbe mai vinto il Nobel. Dal 1999, invece, Nori si è messo a scrivere l'italiano che si parla a Parma, dove non si usano mai parole come “felicità” o “amore” perché non hanno un equivalente dialettale. Nori è uno scrittore infallibilmente affidabile poiché sa che non esiste l'amore ma il volere bene (“At voj ben”), non esiste la felicità ma lo stare bene (“A son stè ben”). Invece uno scrittore che alliscia il pubblico semicolto parlando di diritto all'amore o alla felicità mente sapendo di mentire: sta usando parole senza cose ed è ingannevole come una libreria che vende prosciutti.

Di più su questi argomenti: